Attraverso tre recenti pronunce la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema degli infortuni sul lavoro individuando i limiti entro cui la condotta colposa del lavoratore può essere rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente ex D.lgs. 231/2001 e della responsabilità penale del datore di lavoro. Il presente excursus giurisprudenziale pone in evidenza la severità dei controlli posti in essere dall’Autorità giudiziaria dinnanzi al verificarsi di infortuni e consente di individuare gli specifici obblighi posti in capo al datore di lavoro dal nostro ordinamento. Solo il rispetto delle prescrizioni in materia di attività di prevenzione (valutazione dei rischi e predisposizione di misure di sicurezza), formazione dei lavoratori, consegna di adeguati strumenti e attrezzature di lavoro, pone il soggetto apicale al riparo da contestazioni penali personali e tutela l’ente da sanzioni pecuniarie e/o interdittive. In particolare, con la sentenza del 19.11.2019, n. 48779, la IV sez. penale della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di infortunio sul lavoro avvenuto mentre il lavoratore era impiegato a svolgere le sue mansioni seguendo una prassi di lavorazione instauratasi in azienda da diverso tempo e nota a tutti. I giudici di legittimità hanno potuto accertare come già nei gradi di merito era emersa l’inesistenza di istruzioni operative riguardanti tale prassi, la mancanza di una valutazione del rischio specifico nel documento di valutazione oltre all’omesso svolgimento di attività di formazione specifica relativamente alle fasi di lavorazione rilevanti ai fini dell’infortunio. In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito che: “non è idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10.10.2013 - dep. 19.02.2014, Rovaldi, Rv. 259313). E’ stato inoltre chiarito che “perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13.12.2016 - dep. 27.03.2017, Gerosa e altri, Rv. 269603). Richiamando tali pronunce i giudici hanno precisato che nel caso sottoposto all’esame del collegio “è fuor di dubbio che il sinistro si sia verificato mentre il lavoratore svolgeva i compiti che gli erano stati assegnati; l'imprudenza o la negligenza nella operazione effettuata di disincastro dell'ogiva, attraverso l'uso dell'aria compressa, rappresenta proprio la concretizzazione del rischio che le regole prevenzionistiche riferibili alla formazione all'informazione e alla precisa previsione nel D. dovevano evitare”. La seconda pronuncia attiene invece ad un infortunio occorso a un lavoratore che si trovava a svolgere una lavorazione in quota nonostante la società non si occupasse di norma di effettuare simili attività. In particolare, con la sentenza del 5.11.2019, n. 46218, i giudici di legittimità hanno chiarito che riveste grande importanza ai fini della valutazione della responsabilità penale del datore di lavoro e dell’eventuale concorso del lavoratore il rilievo secondo cui l’impresa non svolgeva di norma la specifica attività richiesta al lavoratore e che ha originato l’infortunio. Da ciò discende che il “legale rappresentante presente sul posto, avrebbe dovuto impedire che il lavoratore salisse sulla pedana, non avendo ricevuto adeguata formazione ed informazione sul punto e non essendo state predisposte le dovute cautele”. Pertanto lo stesso sarà chiamato a rispondere per non aver impedito lo svolgimento della pericolosa lavorazione in quota al lavoratore (non formato e non attrezzato) a prescindere da eventuali imprudenze dello stesso lavoratore. Da ultimo, la sentenza del 13.12.2019, n. 50440, emessa dalla IV sezione penale della Corte di Cassazione si è soffermata sul caso di condanna di un datore di lavoro per il reato di cui all’art. 590 c.p. per avere cagionato lesioni gravi al proprio dipendente. Nel caso esaminato la colpa consisteva nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, più precisamente per avere omesso di definire le procedure di utilizzo delle macchine e delle attrezzature nelle operazioni di carico e scarico dei materiali. Veniva inoltre contestato al soggetto apicale di avere omesso ogni formazione sui rischi specifici connessi all'espletamento delle proprie mansioni e all'utilizzo delle macchine, sicchè il lavoratore, nell'esercizio della sua attività di autista addetto al trasporto di materiali ferrosi, iniziava le operazioni di scarico del materiale senza attendere l'arrivo della gru a torre, cadendo. Ai giudici di legittimità veniva domandato di pronunciarsi in merito all’intervenuta formazione del lavoratore individuando il soggetto gravato dell’onere di provare l’esistenza e l’adeguatezza della formazione stessa. Il collegio, nel chiarire che l’onere probatorio è posto in capo al soggetto apicale sottolinava che “la prova di una condotta omissiva risente della struttura ontologica di tale comportamento, che si traduce in una materiale assenza, sicchè solo colui su cui grava l'obbligo di porre in essere la condotta può e deve fornire indicazioni relativamente al corretto adempimento. Difatti, nell'ordinamento processuale penale, pur non essendo previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore”. E ancora: “quando l'inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche nell'ambiente di lavoro è causa determinante dell'evento dannoso, per escludere la responsabilità dei datori di lavoro, dei preposti o degli addetti alla organizzazione o alla sorveglianza del lavoro, non è sufficiente che non risulti provato con certezza che essi non hanno impartito disposizioni, ma è necessario che tali persone provino, in maniera rigorosa e sicura, di avere compiuto atti precisi e specifici intesi ad impedire che le operazioni di lavoro si svolgessero in modo non conforme ai precetti antinfortunistici (Sez. 4, n. 9615 del 19.04.1982 ud. - dep. 20.10.1982, Rv. 155686 - 01).