La Corte di Cassazione torna a trattare la delicata materia degli infortuni sul lavoro e della rilevanza della condotta colposa del lavoratore. - In particolare, già con la sentenza del 19.11.2019, n. 48779, la IV sez. penale della Corte di Cassazione aveva ribadito che: “non è idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo”. - Con la sentenza del 5.11.2019, n. 46218, i giudici di legittimità hanno invece chiarito che riveste grande importanza ai fini della valutazione della responsabilità penale del datore di lavoro e dell’eventuale concorso del lavoratore il rilievo secondo cui l’impresa non svolgeva di norma la specifica attività richiesta al lavoratore e che ha originato l’infortunio. - Con la sentenza del 13.12.2019, n. 50440, emessa dalla IV sezione penale la Corte di Cassazione si è invece soffermata sul caso di condanna di un datore di lavoro per il reato di cui all’art. 590 c.p. per avere cagionato lesioni gravi al proprio dipendente. Nel caso esaminato la colpa consisteva nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, più precisamente per avere omesso di definire le procedure di utilizzo delle macchine e delle attrezzature nelle operazioni di carico e scarico dei materiali. - Da ultimo con la sentenza dell’1.10.2020, n. 27242 la Corte di Cassazione torna a trattare il tema della rilevanza del comportamento imprudente posto in essere da lavoratori non correttamente formati e informati.
Si tratta di un tema di grande impatto che pone in capo al datore di lavoro doveri specifici di formazione e informazione.
Accanto alle più recenti pronunce - già oggetto di trattazione in questo osservatorio - occorre ora soffermarsi sulla sentenza n. 27242/2020.
La giurisprudenza più recente è utile per comprendere la severità dei controlli posti in essere dall’Autorità giudiziaria dinnanzi al verificarsi di infortuni e consente di individuare gli specifici obblighi posti in capo al datore di lavoro dal nostro ordinamento. Solo il rispetto delle prescrizioni in materia di attività di prevenzione (valutazione dei rischi e predisposizione di misure di sicurezza), formazione dei lavoratori, consegna di adeguati strumenti e attrezzature di lavoro, pone infatti il soggetto apicale al riparo da contestazioni penali personali e tutela l’ente da sanzioni pecuniarie e/o interdittive.
E’ stato inoltre chiarito che “perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”.
Da ciò discende che il “legale rappresentante presente sul posto, avrebbe dovuto impedire che il lavoratore salisse sulla pedana, non avendo ricevuto adeguata formazione ed informazione sul punto e non essendo state predisposte le dovute cautele”. Pertanto lo stesso sarà chiamato a rispondere per non aver impedito lo svolgimento della pericolosa lavorazione in quota al lavoratore (non formato e non attrezzato) a prescindere da eventuali imprudenze dello stesso lavoratore.
Il collegio, nel chiarire che l’onere probatorio è posto in capo al soggetto apicale sottolineava che “la prova di una condotta omissiva risente della struttura ontologica di tale comportamento, che si traduce in una materiale assenza, sicchè solo colui su cui grava l’obbligo di porre in essere la condotta può e deve fornire indicazioni relativamente al corretto adempimento”.
Pertanto “quando l’inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche nell’ambiente di lavoro è causa determinante dell’evento dannoso, per escludere la responsabilità dei datori di lavoro, dei preposti o degli addetti alla organizzazione o alla sorveglianza del lavoro, non è sufficiente che non risulti provato con certezza che essi non hanno impartito disposizioni, ma è necessario che tali persone provino, in maniera rigorosa e sicura, di avere compiuto atti precisi e specifici intesi ad impedire che le operazioni di lavoro si svolgessero in modo non conforme ai precetti antinfortunistici”.
Il caso riguardava un datore di lavoro dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2, per aver cagionato con colpa il decesso del lavoratore addetto all'abbattimento degli alberi. “Colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare:
- D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. b), per aver omesso di indicare nel documento di valutazione dei rischi lavorativi le idonee misure di prevenzione e protezione attuate in relazione alla mansione di operaio addetto all'abbattimento piante;
- D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. d), per aver omesso di individuare nel documento di valutazione dei rischi lavorativi le procedure per l'attuazione delle idonee misure di prevenzione e protezione da realizzare in relazione alle lavorazioni di abbattimento piante;
- D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37, comma 1, per non aver fornito al lavoratore le necessarie informazioni e la adeguata formazione in merito ai rischi e alle procedure da adottare relativamente alla mansione di operaio addetto all'abbattimento piante”.
Il lavoratore, in particolare, era intento ad abbattere alcuni pioppi e dopo aver proceduto a realizzare la c.d. "tacca di direzione" alla base dell'albero (per determinarne la direzione di caduta) ed aver ultimato il taglio di abbattimento, la pianta cadendo urtava con i rami l'albero vicino e andando a colpire con la base del tronco il torace dello stesso ne causava la morte.
Nel rigettare il ricorso proposto la Corte di Cassazione chiariva che il principio della c.d. causalità della colpa va inteso nel senso che: "il rimprovero colposo deve riguardare la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Dal che si profila il versante più oggettivo della colpa, nel senso che, per potere affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare... ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioè, che il risultato offensivo sia la concretizzazione del pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare; ovvero, in altri termini, che l'evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare. Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sè sufficiente per affermare la responsabilità di questo per l'evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l'esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l'evento".
Conseguentemente, la Corte riteneva provata la causalità della colpa atteso che l'obbligo di curare la redazione del piano di sicurezza e l'aggiornamento dello stesso, così come quello di formazione ed informazione del lavoratore, che incombe sul datore di lavoro ha proprio il fine di preservare la sicurezza dei luoghi di lavoro e delle operazioni che si vanno a compiere.
Nella pronuncia in esame si è inoltre chiarito che “il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle”.
Inoltre “il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi”.
Da ultimo i giudici di legittimità hanno precisato che “il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, e l'adempimento di tali obblighi non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro”.