Infortuni sul lavoro e causa di esclusione della colpevolezza di cui all’art. 384 c.p.

8 Aprile 2021

La Corte di Cassazione penale sez. V, con sentenza dell’11.02.2021 (dep. 11.03.2021), n. 9806 si è espressa in materia di infortuni sul lavoro.
Il fatto riguardava un amministratore di una società di trasporti condannato per le lesioni subite da due suoi dipendenti in occasione di distinti incidenti cagionati dall'omessa osservanza delle norme antinfortunistiche.
Si contestava allo stesso, inoltre, in occasione di uno degli incidenti, di essere intervenuto prima dell'intervento dei soccorsi e degli inquirenti, modificando lo stato dei luoghi.
Ricorrendo in Cassazione l’imputato formulava diversi motivi tra cui uno specifico motivo di impugnazione relativo all’esimente di cui all’art. 384 c.p. secondo cui “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore”.
Nel ricorso si legge infatti che:
“Con il primo deduce inosservanza della legge penale e difetto di motivazione in merito al mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 384 c.p., comma 1 in riferimento al reato di frode processuale. In tal senso rileva come secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità l'esimente in questione debba essere qualificata come causa di esclusione della colpevolezza ispirata al principio del nemo tenetur se detegere, rimanendo dunque irrilevante che l'agente abbia posto in essere la condotta illecita per evitare una situazione di pericolo per la propria libertà volontariamente prodotta. Conseguentemente dovrebbe ritenersi che l'imputato abbia agito al fine di evitare le prevedibili conseguenze penali dell'incidente occorso al B. ed a lui imputabile in quanto datore di lavoro, rimanendo indubitabile che la condotta di occultamento delle prove contestata si ponga in rapporto di derivazione immediata con il suddetto pericolo”.

La Corte di Cassazione, nel ritenere fondato tale motivo di impugnazione ha chiarito che secondo l’orientamento maggioritario la disposizione succitata configura “una causa di esclusione della colpevolezza, basata non già sul bilanciamento di interessi in conflitto tipico delle cause di giustificazione, bensì sulla valutazione della situazione soggettiva in cui versa l'agente a fronte del pericolo inevitabile di un nocumento per la propria libertà o per il proprio onore, tale da rendere inesigibile un comportamento conforme al precetto delle norme tassativamente evocate nell'art. 384 c.p., comma 1, ma senza escludere il disvalore oggettivo del fatto tipico”.
Di conseguenza “l'esimente deve ritenersi applicabile anche quando lo stato di pericolo sia stato cagionato volontariamente dall'agente e segnatamente nell'ipotesi in cui abbia commesso uno degli illeciti penali elencati nell'art. 384 c.p., comma 1, per eludere le investigazioni relative ad un reato precedentemente da lui commesso”.
In particolare “il riferimento alla situazione di necessità contenuto nell'art. 384 c.p. rivela la volontà del legislatore di condizionare l'operatività dell'esimente al qualificato rapporto di derivazione del fatto illecito commesso alla esigenza di tutela della libertà e dell'onore: non già alla mera possibilità di un evento temuto, quindi, bensì alla certezza del verificarsi dell'evento di danno e quindi, trattandosi pur sempre di prognosi, alla previsione del suddetto verificarsi assistita dal più alto grado di probabilità sulla base dei parametri di immediatezza e consequenzialità”.
Sulla scorta di tali principi di diritto la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’operatività dell’esimente nel caso sottoposto alla sua attenzione essendo “inequivocabile infatti il rapporto di immediata consequenzialità tra l'incidente occorso al B. ed il pericolo per l'imputato di vedersi attribuire la responsabilità per le conseguenze subite dal dipendente, mentre é altrettanto indubitabile che, nella sua qualità di datore di lavoro, egli fosse perfettamente consapevole del mancato rispetto delle norme antinfortunistiche poi effettivamente contestatogli, talché il suo comportamento risulta coerente con il fine di evitare quella che gli appariva una altrimenti inevitabile condanna per quanto accaduto”.

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