Dissequestro parziale per il pagamento delle tasse da parte della società

21 Giugno 2022

Nel caso in esame, una Società è stata destinataria nel 2021 di un’ordinanza di applicazione di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi degli artt. 19, 25 e 53 del D.Lgs. 231 del 2001, che ha colpito il profitto del reato presupposto di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346 bis cod. pen., in quanto corrispondenti alla quasi totalità delle provvigioni maturate e ricevute per l'attività di mediazione illecitamente svolta nel corso dell'anno 2020, sfruttando relazioni personali con il Commissario Nazionale per l'emergenza Covid, in ordine alle commesse di forniture di dispositivi di protezione individuale ordinate dal Commissario Straordinario a tre società cinesi.

Nel caso di specie in particolare, le somme sequestrate costituivano la quasi totalità dei proventi realizzati dalla Società e rappresentavano inoltre un’eccezione rispetto ai profitti realizzati normalmente dalla Società, così ponendo la stessa nell’impossibilità di pagare i tributi dovuti allo Stato in assenza di un dissequestro parziale delle stesse.

La Società aveva presentato al Giudice per le indagini preliminari istanza di dissequestro parziale del profitto al fine di poter adempiere alle obbligazioni fiscali gravanti sui profitti illeciti. Infatti richiamando correttamente la disciplina prevista dall’articolo 14 co. 4 della legge 573 del 1993 e l’articolo 36 co. 34-bis del D.L. 223 del 2006, “i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale” devono essere intesi quali redditi imponibili, facendoli rientrare se non altrimenti qualificabili, tra i redditi diversi.

La VI° sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13936 dell’11 aprile 2022, oltre a ribadire il principio sopra esposto, ha colto l’occasione per fornire un nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di dissequestro delle somme sequestrate al fine di versare i tributi dovuti sui proventi illeciti sottoposti sequestro in un esercizio di imposta differente rispetto a quello di maturazione.

La Cassazione, nel silenzio normativo esistente sul punto all’interno del D.Lgs. 231 del 2001, ha ritenuto di fornire “un’interpretazione costituzionalmente orientata del principio di proporzionalità della misura cautelare, là dove si renda necessario al fine di evitare, per effetto dell'applicazione del sequestro preventivo e dell'inderogabile incidenza dell'obbligo tributario, la cessazione definitiva dell'esercizio dell'attività dell'ente prima della definizione del processo”.

Nel caso in cui, infatti, oltre ad essere destinataria del sequestro finalizzato alla confisca, la Società si trovasse a versare i tributi dovuti all’erario si verrebbe a determinare un’esagerata compressione della libertà dell’esercizio dell’attività di impresa, del diritto di proprietà e del diritto al lavoro, rischiando di determinare un grave pericolo per la sopravvivenza dell’ente in questione.  In tale ottica, l’ente sarebbe destinatario non solo del provvedimento ablativo del sequestro finalizzato alla confisca, ma anche della ulteriore interdizione definitiva dall’attività d’impresa prevista dall’art. 16 co. 3 del D.Lgs. 231/2001 già in fase cautelare e senza che vi sia quindi stata una sentenza di condanna.

In particolare, la Cassazione ribadisce che tale situazione comporterebbe di fatto la sovrapposizione degli effetti di due misure cautelari, da un lato, il sequestro finalizzato alla confisca disciplinato dall’art. 53 e, dall’altro lato, l’interdizione dall’esercizio dell’attività d’impresa disciplinata dagli artt. 9 co. 2 lett. a) e 45 del D.Lgs. 231/2001, la quale costituendo l’extrema ratio può e deve essere disposta solo nel caso in cui le ulteriori misure cautelari si rivelino inidonee.

In conclusione, quindi, secondo la Corte di Cassazione “Il giudice, all'atto dell'adozione della misura cautelare reale e nella sua successiva dinamica esecutiva, deve evitare che il vincolo reale, eccedendo le proprie finalità ed esorbitando dall'alveo dei propri effetti tipici, si risolva in una sostanziale inibizione per l'operatività economica del soggetto attinto dal sequestro, sino a determinarne la paralisi o la cessazione definitiva”, aggiungendo che “in tali specifici casi lo svincolo parziale delle somme sequestrate deve ritenersi ammesso alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che, nella sua concreta dimensione afflittiva, metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme "controllate".

La Cassazione facendo quindi prevalere l’interesse superiore al proseguimento dell’attività d’impresa, del diritto di proprietà e del diritto al lavoro ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Roma che aveva rigettato l’impugnazione della Società avverso il rigetto dell’istanza di dissequestro parziale pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari, e ha rinviato la questione al Tribunale di Roma.

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