Si segnala l’interessante pronuncia n. 570 del 2022, con la quale la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’ente, ritenendo non adeguatamente verificata dai giudici di merito l’effettiva sussistenza della colpa in organizzazione, presupposto necessario per l’affermazione di responsabilità ex D.lgs. 231/2001. La Società V. S.p.A. è stata coinvolta in un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di Milano a seguito di un infortunio sul luogo di lavoro, il quale ha cagionato la morte di K.E. La Società V. S.p.A., alla quale era stata affidata in appalto la realizzazione di un’opera presso uno svincolo autostradale, aveva affidato in subappalto alla Iron Master S.r.l. la realizzazione dei lavori in galleria. Al momento dello smontaggio dei ponteggi utilizzati per la realizzazione delle attività in galleria, il K.E., dipendente della Iron Master S.r.l., veniva colpito da un asse di contenimento e perdeva l’equilibrio, cadendo dal ponteggio da un’altezza di circa 10 metri, morendo poche ore dopo l’infortunio. A seguito dell’infortunio veniva rilevato che il ponteggio era privo dei dispositivi di sicurezza per la prevenzione del rischio di cadute dall’alto, che il K.E. non indossava l’imbragatura e un elmetto protettivo, che non era presente alcuna fune anticaduta né alcuna linea di sicurezza ad ancorarla, che l’attività di formazione del personale non era debitamente documentata, che non era stato fornito l’addestramento specifico per l’utilizzo dei dispositivi individuali di protezione di terza categoria, che il Piano di Montaggio Uso e Smontaggio (PIMUS) non veniva rispettato e che il ponteggio presente sul luogo dell’infortunio differiva rispetto a quello inserito all’interno dello stesso Piano, e che non era presente nel luogo dell’infortunio alcun preposto per la verifica della correttezza delle attività di smontaggio del ponteggio. In primo e in secondo grado la V. S.p.A. veniva ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies co. 3 D.Lgs. 231/2001, per aver tratto un vantaggio dal reato commesso dall’amministratore unico, il quale sarebbe consistito nel risparmio derivante dall’impiego di lavoratori formalmente dipendenti della Iron Master S.r.l. ma in realtà sottoposti al potere direttivo della V S.p.A., e in particolare dalla mancata consegna dei dispositivi di protezione individuale, dall’omessa formazione e informazione ai dipendenti e dalla mancata individuazione di un preposto. La Società V. S.p.A. presentava ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano deducendo tre motivi. Preliminarmente la V. S.p.A. evidenziava le differenze, anche strutturali con la Iron Master S.r.l., essendo la prima una società di grandi dimensioni, con una struttura articolata, anche dal punto di vista delle deleghe in materia di salute e sicurezza, provvista di un Modello Organizzativo (MOG) adottato prima dell’infortunio e costantemente aggiornato e vigilata da un Organismo di Vigilanza, essendo invece la seconda una società di dimensioni ridotte e non dotata di un Modello Organizzativo. Veniva inoltre evidenziato che il K.E. era dipendente della Iron Master S.r.l. e che il Tribunale di Milano, aveva, nelle more del procedimento di primo grado, disposto la trasmissione degli atti alla Procura per il reato di falso in relazione alle attività di formazione dei dipendenti delle Iron Master S.r.l. Di conseguenza la responsabilità delle due realtà aziendali coinvolte nel procedimento dovevano necessariamente essere valutate distintamente, circostanza non realizzatasi in concreto, la quale ha determinato un difetto di accertamento e motivazione autonoma per le due realtà. La prima censura mossa riguarda la illogicità e contraddittorietà delle motivazione in ordine al vantaggio in capo alla V. S.r.l. In particolare la V S.r.l. ha sollevato come il vantaggio per l’ente derivante dalla violazione delle norme in materia antinfortunistica possa rilevarsi solo in caso di sistematica violazione delle norme di sicurezza, e non in caso di una violazione meramente occasionale, la quale non comporta ex se la riduzione di costi e la massimizzazione dei profitti. Sul punto è stato inoltre confermato che l’Organismo di Vigilanza, a seguito dell’infortunio, ha accertato che la V. S.p.A. avesse correttamente svolto la valutazione tecnico professionale dei dipendenti del subappaltatore, il quale aveva fornito le attestazioni di formazione (in relazione alle quali sono stati trasmessi gli atti alla Procura delle Repubblica di Milano), e che la medesima società aveva individuato un preposto, il quale era presente nel cantiere in cui si è consumato l’infortunio (A tal riguardo si veda: https://www.osservatorio-231.it/2019/12/10/interesse-e-vantaggio-dellente-limportanza-del-modello-organizzativo/ e https://www.osservatorio-231.it/2021/06/17/lassenza-di-interesse-e-vantaggio-dellente-nelle-ipotesi-di-infortunio-sul-lavoro/). La seconda censura mossa riguarda l’erronea valutazione sull’idoneità del Modello Organizzativo preventivamente adottato dalla V. S.p.A. I giudici di merito avrebbero infatti dedotto dal mero accadimento dell’infortunio la prova dell’inidoneità del Modello Organizzativo. L’ultima censura mossa riguarda l’erronea valutazione del trattamento sanzionatorio, non avendo i giudici di merito effettuato una valutazione autonoma per i due differenti enti, avendo determinato la sanzione partendo da una pena base comune. La Quarta Sezione della Corte di Cassazione nella propria pronuncia mostra dei profili di perplessità già alla lettura del capo di imputazione, non riscontrando in alcun modo un profilo di responsabilità in capo alla V. S.p.A. e in merito all’inidoneità del Modello Organizzativo adottato dalla Società. Al fine di contestare la pronuncia della Corte d’Appello, la Corte di Cassazione ha ricordato che l’ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, nel caso in cui sussista una “colpa di organizzazione”, la quale non può essere desunta semplicemente dalla mancata o inidonea adozione del Modello Organizzativo. La Cassazione ha infatti più volte affermato che, affinché l’ente possa essere ritenuto responsabile per il reato presupposto è necessario che venga provata la "colpa di organizzazione" dell'ente, consistente nel “non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo. Grava sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell'interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende dall'individuo all'ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo” (Cass. Pen., Sez. VI, 27735 del 2010). Di conseguenza, come ribadisce la Corte di Cassazione, l’assenza di un Modello Organizzativo, o l’inidoneità o l’inefficace attuazione di un Modello Organizzativo predisposto, non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito amministrativo dell’ente, essendo necessario verificare un collegamento tra questi e la realizzazione del reato presupposto (si veda in proposito: https://www.osservatorio-231.it/2022/06/14/lassenza-del-modello-organizzativo-non-basta-per-configurare-la-responsabilita-amministrativa-dellente/). Nel caso di specie tale percorso argomentativo, ad opinione della Quarta Sezione della Corte di Cassazione, non è stato operato. Ed anzi, talvolta vengono sovrapposti i profili di responsabilità dell’amministratore unico per il reato presupposto e i profili di responsabilità amministrativa dell’ente coinvolto, come si rinviene dalla circostanza per cui la mancata valutazione tecnico professionale e l’erronea messa in sicurezza dei ponteggi, nonostante fossero prescrizioni previste rispettivamente nel MOG e nel PIMUS, vengono addebitati, oltre che all’amministratore unico, anche alla V. S.p.A. in maniera del tutto automatica, senza aver svolto alcuna valutazione in meritò alla colpa organizzativa. La Corte ricorda, infine, come la condotta dell’agente deve essere intesa come conseguenza “di un preciso assetto organizzativo "negligente" dell'impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo” (Cass. Pen., SS.UU., n. 38343 del 2014). La Quarta Sezione della Corte di Cassazione conclude quindi annullando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando ad altra sezione per nuovo giudizio, non avendo il giudice di merito valutato la colpa organizzativa della Società V. S.p.A. e non essendo sufficiente addurre quale motivazione l’inidoneità del Modello Organizzativo, che, in ogni caso, non è stata oggetto di piena valutazione da parte del giudice di primo grado.