Si segnala la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10143/2023 depositata il 10 marzo scorso, nella quale i giudici di legittimità hanno espresso il seguente principio: “In caso di revisione della sentenza avente ad oggetto la responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/01 per contrasto di giudicato – art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p. – ove in separato giudizio si sia pervenuti all’assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata, discendendo la inconciliabilità del giudicato solo dalla negazione del fatto storico e non anche dalla mancata individuazione della persona fisica del suo autore. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 8 D.lgs. 231/01, la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato”. Sulla base del citato principio di diritto, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’ente avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Campobasso aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, promossa per la risoluzione del conflitto ex art. 630 comma 1, lett. a) c.p.p. tra la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti della società e la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto pronunciata in favore dei due imputati persone fisiche. Secondo i giudici di Cassazione, infatti, nonostante l’utilizzo (fuorviante) della formula assolutoria da parte del Tribunale, dall’esame della motivazione della sentenza emessa nei confronti delle persone fisiche (rispettivamente delegato del datore di lavoro e custode dello stabilimento, imputati del reato di lesioni colpose determinate dalla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza) si evince, in realtà, la sussistenza del fatto storico dell’infortunio. Ciò che, invece, ha determinato la pronuncia assolutoria è la non riconducibilità della responsabilità del fatto stesso agli imputati, in quanto si è escluso che gli stessi rivestissero una posizione di garanzia. A fronte di una incompatibilità tra i due giudicati di tale natura, non ricorrono secondo la Cassazione i presupposti per la revisione ex art. 630 co. 1 lett. a) c.p.p. L’inconciliabilità tra giudicati dovrebbe infatti riguardare l’oggettiva incompatibilità dei fatti storici e non invece la contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due sentenze. “Ne consegue – ha precisato la Corte – che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti”.