La Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da un soggetto indagato per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. avverso un’ordinanza del Tribunale delle Libertà, con la quale è stata confermata l’applicazione della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa nel settore ambientale, affermando il seguente principio di diritto “L'articolo 12 del D.M. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Regolamento relativo all'istituzione dell'Albo dei gestori ambientali), a norma del quale il responsabile tecnico di una impresa deve porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell'impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa, nonché svolgere tali compiti in maniera effettiva e continuativa, costituisce in capo al medesimo una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui al D. Lgs. 152/2006, con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa”. *.*.* Il caso: Il GIP di Catanzaro ha disposo l’applicazione della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa nel settore ambientale ai sensi dell’art. 290 c.p.p. al responsabile tecnico di una S.p.A. in quanto sottoposto ad indagini per il reato di traffico illecito di rifiuti previsto dall’art. 452-quaterdecies c.p. L’interessato, a fronte del rigetto della richiesta di revoca della misura interdittiva, ha presentato appello al Tribunale delle Libertà di Catanzaro, il quale ha rigettato l’appello e confermato l’applicazione della misura. Il ricorso: Il ricorrente ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale delle Libertà rilevando che (i) l’ordinanza del Tribunale del Riesame si è limitata a richiamare per relationem le motivazioni dell’ordinanza genetica della misura interdittiva, violando in tal senso gli l’obbligo di motivazione in relazione agli artt. 273, 274 e 192 c.p.p. e (ii) i giudici investiti della questione non avevano replicato alla tesi difensiva secondo cui il responsabile tecnico “non ha il dovere di impedire la mala gestione dei rifiuti all'interno dell'azienda, al contrario del c.d. direttore tecnico”. Il ricorrente, in particolare, ha eccepito che l’ordinanza del Tribunale del Riesame La decisione della Cassazione: I giudici di legittimità in prima battuta hanno ritenuto il ricorso inammissibile in quanto secondo costante giurisprudenza “l'ordinanza in materia cautelare adottata dal Tribunale del Riesame non richiede, a pena di nullità, l'autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.), in quanto tale requisito è previsto dall'art. 292, comma 2 c.p.p. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte”. Ciò nonostante, la Corte ha ritenuto di fornire alcune considerazioni in merito al secondo motivo di ricorso presentato dall’interessato, pervenendo a dichiarare il ricorso stesso manifestatamente infondato. I giudici di legittimità hanno infatti rilevato che: In ragione di tali considerazioni il responsabile tecnico viene di fatto investito di una vera e propria “posizione di garanzia” relativa al rispetto della normativa prevista in materia di gestione dei rifiuti, il che comporta, ad opinione della Corte, una equiparazione di tale figura a quella del legale rappresentante dell’azienda. Da ciò consegue chiaramente che il responsabile tecnico potrà essere chiamato a rispondere, al pari del legare rappresentante, dei reati commessi in relazione alla scorretta gestione dei rifiuti, e potrà dunque essere destinatario della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa nel settore ambientale. Considerazioni finali La ratio della previsione della delega ambientale (ispirata alla normativa in materia di Salute e Sicurezza sul Luogo di Lavoro) trova la propria origine nella necessaria conoscenza delle specifiche regole tecniche per lo svolgimento di tali attività, nell’esigenza di una protezione rafforzata del bene giuridico dell’ambiente, nella dimensione e complessità delle realtà aziendali e nella molteplicità di compiti e di obblighi penalmente sanzionati. Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, appare dunque sempre più evidente il forte impatto che il conferimento di deleghe di funzioni in campo ambientale può avere in caso di situazioni patologiche e, di conseguenza, l’importanza di una corretta segregazione dei ruoli e delle responsabilità, soprattutto in realtà aziendali complesse.