Con sentenza n. 26180 depositata il 3 luglio scorso, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha ribadito i confini applicativi della fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p., sancendo l’irrilevanza penale della condotta di indebita ritenzione di erogazioni pubbliche che siano state, ab initio, legittimamente percepite. Nel caso di specie, il ricorrente, in qualità di pescatore marittimo, aveva legittimamente beneficiato di un contributo europeo una tantum per la riconversione professionale in ambiti diversi da quello ittico. Dopo aver conseguito tale sovvenzione, però, il ricorrente aveva ripreso l’attività di pesca senza darne comunicazione all’Ente erogatore; in tal modo egli tratteneva le somme inizialmente erogategli, nonostante il verificarsi di una causa di decadenza dall’agevolazione economica. Sul punto la Corte ha chiarito che la fattispecie considerata dalla norma di cui all’art. 316-ter c.p. consiste nel conseguimento di somme di denaro di provenienza pubblicistica con il ricorso a condotte fraudolente. È, dunque, il conseguimento di tali fondi pubblici a dover essere indebito, a nulla rilevando che sulla base di una dichiarazione veritiera si siano continuate a ritenere tali somme, anche in presenza di una successiva causa di decadenza. In sintesi: un conto è la percezione di erogazioni pubbliche, un altro è la ritenzione. Il delitto, invero, si fonda sul rapporto di causa-effetto esistente tra la condotta fraudolenta del privato e l’erogazione di fondi pubblici, in modo tale che il vantaggio possa configurarsi a monte come non dovuto, poiché ottenuto mediante false dichiarazioni, volte a rappresentare la sussistenza delle condizioni necessarie per il conseguimento del beneficio economico. Da ciò emerge come sia estranea alla fattispecie in questione l’ipotesi in cui al privato vengano erogati finanziamenti o sovvenzioni dallo Stato o altri Enti territoriali sulla base di dichiarazioni veritiere, ma non integrate successivamente dalla comunicazione di sopravvenienza di cause di decadenza. In altri termini, la Corte di Cassazione si è limitata a sottolineare come, nel caso di specie, difetti l'elemento oggettivo della fattispecie, consistente nell’acquisizione del contributo pubblico mediante “l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute", ciò in quanto il mendacio – cioè l’omissione della comunicazione doverosa- si sarebbe verificato solo successivamente all’erogazione.