Segnalazione per scopi personali: la cassazione ribadisce i limiti di applicabilità del whistleblowing

5 Marzo 2025

Il divieto, stabilito dalla normativa whistleblowing, di attuare misure ritorsive o discriminatorie nei confronti del segnalante per motivi collegati direttamente o indirettamente alla segnalazione non si applica nelle ipotesi in cui quest’ultima sia stata fatta per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.

Il principio, recentemente confermato dalla Corte di cassazione, sezione lavoro nella sentenza n. 1880/2025, riprende una regola in materia di Whistleblowing già esistente da anni nel nostro ordinamento e ribadita nel nuovo D.lgs. 24/2023, che ha dato attuazione in Italia alla Direttiva UE in materia di protezione dei soggetti segnalanti illeciti in ambito aziendale.

Nel caso di specie, un dipendente pubblico ha impugnato la sanzione disciplinare della sospensione irrogata a seguito della presentazione da parte dello stesso alla Procura della Repubblica di due esposti per reati di falso asseritamente commessi dalla Dirigenza dell’ente, poi rivelatisi infondati.

Tra i motivi di ricorso vi è la mancata applicazione da parte della Corte d’appello dell’art. 54-bis D.lgs. 165/2001 (Ordinamento lavoro pubblico) che – nella formulazione vigente al tempo dei fatti, antecedenti alla riforma della L. 179/2017 – prevedeva che: “Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.

La Corte, nell’argomentare i motivi del rigetto, ribadisce la duplice ratio su cui si fonda l’istituto che – come anticipato – risulta applicabile anche nel settore privato in forza dell’art. 17 del D.lgs. 24/2023. La prima ratio consiste nella necessità di delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti. La seconda è relativa, invece, all’opportunità di favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto ai fenomeni illeciti. “Il dipendente virtuoso – ha recentemente affermato la cassazione con la sentenza n. 17715/2024 – non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante”.

Tuttavia, l’operatività della tutela trova un limite allorquando il segnalante agisca in ragione di un interesse personale o per questioni concernenti la disciplina del rapporto di lavoro o del rapporto con superiori gerarchici o altri colleghi, essendo tali tipologie di conflitto disciplinate da altre normative ed altre procedure.

Nel caso di specie, benché gli esposti avanzati dal ricorrente avessero ad oggetto condotte potenzialmente integranti fattispecie di reato, i giudici di merito e quello di legittimità hanno concordemente ritenuto di non poter dichiarare la nullità del provvedimento disciplinare erogato nei confronti del dipendente pubblico, essendo emersa nel corso del giudizio la sussistenza di un interesse personale alla presentazione delle denunce e della finalità di vendetta nei confronti dei propri superiori gerarchici per degli specifici episodi dai quali era sorto un dissidio di carattere puramente lavorativo.

La sentenza in commento ci consente di riflettere sui limiti applicativi della disciplina del whistleblowing, con particolare riferimento a quelli appena menzionati stabiliti dall’art. 1 co. 2 lett. a) del D.lgs. 24/2023.

La valutazione circa la sussistenza di un mero interesse personale del segnalante e dell’attinenza esclusiva della segnalazione ai rapporti individuali di lavoro non può fondarsi unicamente sull’oggetto della segnalazione, ma deve necessariamente includere elementi ulteriori che possano suggerire la strumentalità della denuncia e, dunque, l’inapplicabilità delle tutele garantite dalla legge.

Nel caso in esame, infatti, la mera valutazione dell’oggetto della segnalazione, riguardante fatti potenzialmente integranti fattispecie di reato, avrebbe ben potuto condurre alla conclusione dell’applicabilità dell’istituto della nullità della sanzione disciplinare applicata al segnalante. Tuttavia, come visto, i giudici hanno estrapolato dal contesto ulteriori elementi idonei a dimostrare che la segnalazione – pur in astratto rientrante nel campo di applicazione della normativa whistleblowing – era invece conseguenza di diatribe interne di carattere meramente individuale, così escludendo l’operatività delle tutele.

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